Auto-oggettivazione e libertà

Non tutte le scelte compiute da donne sono scelte femministe o empowering. Restano scelte libere, ma questo non esaurisce la questione: possono essere scelte che hanno conseguenze negative per l’emancipazione delle donne, e noi abbiamo il diritto di indicarle come tali e di criticarle. La libera scelta non è uno scudo che rende una decisione o un’azione immune da critiche, come del resto non lo sono mai le intenzioni: le scelte si giudicano per quello che sono e per i risultati che producono, concretamente.
Qualche esempio: Costanza Miriano è pienamente libera di scrivere i suoi libri, parlare delle sue idee, partecipare a tutti i convegni e le manifestazioni che desidera, ma ciò non toglie che le idee che propaganda siano nocive per l’emancipazione femminile e volte a negare attivamente diritti ad altre persone (le coppie LGBT, ad esempio).
Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker sono libere di credere che la PAS esista e di propagandarla, ma ciò non toglie che l’idea che sostengono sia nociva per le conseguenze che questo costrutto pseudoscientifico produce su donne e bambini, elidendo, nelle discussioni sull’affido dei figli, la questione delle violenze domestiche vissute e assistite da questi.
Rihanna è pienamente libera di fare un video in cui rapisce e tortura la ragazza di un uomo che le ha rubato dei soldi per vendetta, ma per favore non chiamatelo empowerment: è la riproposizione di una vecchia narrazione sessista e violenta, punto.

Io accetto come libere scelte anche le scelte che non condivido, spero che questo sia chiaro.

Donne e ragazze compiono, all’interno di una cultura che sappiamo essere impregnata di sessismo, pregiudizi, stereotipi, stigmi e pressioni contraddittorie, scelte profondamente problematiche. Quando Emily Ratajkowski ha accettato di apparire nel video di Blurred Lines, la canzone di Robin Thicke tristemente nota per il modo in cui riprende e rafforza, estetizzandoli e rendendoli sexy, concetti della cultura dello stupro, non importa quanto lei consideri la scelta “empowering“, la problematicità di Blurred Lines resta intatta.

Parti del testo di "Blurred Lines" a confronto con foto tratte da "Project Unbreakable", in cui sopravvissute allo stupro riportano le frasi pronunciate dai loro stupratori.

Parti del testo di “Blurred Lines” a confronto con foto tratte da “Project Unbreakable”, in cui sopravvissute allo stupro riportano le frasi pronunciate dai loro stupratori.

Lo stesso vale per le ragazze dei video di Max Felicitas: video profondamente degradanti e misogini, indipendentemente dalla percezione che ne hanno avuto le ragazze coinvolte.

Auto-oggettivazione

Alla luce di questo, vorrei aprire una riflessione sull’auto-oggettivazione sessuale. Chiara Volpato, professoressa (diciamolo!) di Psicologia Sociale presso l’Università di Milano-Bicocca, scrive nel suo saggio “Psicosociologia del maschilismo” (Laterza, 2013): “L’oggettivazione riduce le donne a oggetti di consumo, uguali, interscambiabili, privi di individualità, e comporta pesanti conseguenze personali e sociali. Prima di tutto, provoca l’interiorizzazione della prospettiva dell’osservatore, che fa sì che le donne stesse si considerino come oggetti il cui valore è interamente legato all’aspetto fisico, un fenomeno storicamente legato al ruolo subordinato delle donne nelle società patriarcali e al fatto che, nei secoli, la bellezza fisica ha costituito uno dei pochi mezzi su cui il genere femminile poteva contare per acquisire potere. […] L’auto-oggettivazione comporta una serie di pesanti conseguenze, che incidono sul benessere psico-fisico: scatena stati d’animo negativi, intralcia le prestazioni cognitive, fa diminuire le esperienze ottimali, contribuisce alla diffusione degli stati depressivi, delle disfunzioni sessuali, dei disordini alimentari. La prima conseguenza riguarda l’aumento delle esperienze emozionali negative: il confronto con i modelli fisici irraggiungibili proposti dai media provoca sentimenti di ansia, vergogna, disgusto per la propria inadeguatezza, emozioni che generano tensione, analisi ossessiva del proprio aspetto, desiderio di sfuggire allo sguardo altrui. Concentrarsi sul corpo monopolizza le risorse cognitive facendo sì che siano indisponibili per altre attività mentali e fisiche e rendendo quindi difficile pensare e agire con chiarezza. La sessualizzazione contribuisce così ad abbassare aspirazioni e prestazioni nei campi più impegnativi, limitando le opportunità di formazione e affermazione professionale. […] Le ricerche mostrano, inoltre, che l’esposizione a modelli estetici idealizzati e irraggiungibili è legata, nelle donne e in particolare nelle adolescenti, a diminuzioni dell’autostima, disturbi dell’umore, sintomi depressivi, disordini alimentari, problemi fisici. Altre conseguenze negative riguardano la sfera affettiva e sessuale. Da un lato l’oggettivazione riduce la possibilità di provare empatia, sentimento necessario perché le relazioni intime siano soddisfacenti e stabili. Dall’altro, il benessere sessuale, che ha bisogno di intimità, fiducia, bassi livelli di stress, diminuisce quando si rivolge a sé stessi e al proprio partner uno sguardo oggettivante. L’auto-oggettivazione è legata a minore assertività, maggiori comportamenti a rischio, minore consapevolezza dei propri desideri”.

Innanzitutto, c’è differenza fra esprimersi come “sexual beings” e auto-oggettivarsi. Postare una foto di nudo su Internet è una scelta – per quanto sia una scelta che io condivido e che non farei mai – che può servire ad acquistare padronanza sul proprio corpo, a sentirsi belle e sexy, può essere un gesto di amore e fiducia verso un/a partner, ma può anche essere un tentativo di guadagnare approvazione agli occhi dei ragazzi, gli stessi che riempiono Facebook di “‪#‎escile‬“. D’altronde, non possiamo dimenticare il contesto: una società in cui le ragazze, appena entrano nella pubertà e talvolta anche prima, si scontrano con il fatto che il loro valore è determinato da quanto sono attraenti e sexy, una cosa che viene loro ricordata tutti i giorni, con malignità, umiliazioni, battute crudeli, bullismo.
Non illudiamoci: la maggior parte delle adolescenti non ha la forza, la consapevolezza e la maturità sufficienti per non cedere alle pressioni, e chi può fargliene una colpa? Essere adolescenti significa essere vulnerabili, come lo è chi sta ancora definendo chi è e chi vuole essere, dibattendosi fra desideri e pressioni sociali, fra il bisogno di essere visto come unico e quello di essere accettato.Auto-oggettivazione 1

Fra l’altro, le foto restano. Le centinaia di selfie di ragazze nude, con i volti perfettamente riconoscibili, visibili a tutti su Tumblr e in chissà quanti altri posti, sono destinate a restare. E, poiché la società che urla “escile” alle ragazze è la stessa pronta a coprirle di “troia”, “zoccola”, “cagna” quando lo fanno, sono destinate ad alimentare uno stigma che noi ci battiamo per distruggere, e perfino altro bullismo.
E le foto rafforzano l’idea che le ragazze esistano per soddisfare i desideri maschili, che il loro valore e il loro scopo sia nella bellezza e nella sessualità, che i loro corpi siano a disposizione. Basta vedere i commenti che quelle foto attirano.

Auto-oggettivazione

Non ho risposte ai problemi che pongo, solo una lista di punti con cui circoscrivere il dibattito: nessuna scelta esiste nel vuoto, e la libertà non rende le scelte non criticabili, specie quando fanno male sia a chi le compie, sia per i messaggi che vanno a gettare nell’Internet, emanazione di una società che ben conosciamo. Quindi, vorrei che il discorso su questo argomento restasse aperto, che si creasse un terreno di dialogo per affrontare il problema.

9 risposte a "Auto-oggettivazione e libertà"

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  1. io penso che una ragazza che posta una sua foto sexy su facebook non sia una vittima del patriarcato, fa una scelta, è libera come una che non lo fa. La sensualità fa parte dell’umano, il problema è nella testa di quelli che commentano a suon di “cagna” e che giudica in modo diverso le donne che esibiscono il corpo (cosa legittima) rispetto agli uomini che fanno la stessa cosa

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    1. Nemmeno io penso che sia una “vittima del patriarcato”, e ho detto che la ritengo una libera scelta. Ritengo però che sia una scelta problematica, per fare un paragone penso la stessa cosa del sesso non protetto fra adolescenti.

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  2. il sesso promiscuo non protetto è di sicuro una scelta molto rischiosa, qualcuno direbbe irresponsabile. Perciò sarebbe necessaria l’educazione sessuale

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  3. Condivido abbastanza quello che hai scritto, i commenti purtroppo dimostrano quanto questo tema sia difficile da comprendere per chi è cresciuto in un contesto sessista e ipocrita senza alternative, e tutto sommato ci si trova anche bene. Penso che la lotta al patriarcato sia ormai un tema riduttivo e miope, rispetto alla piega che ha preso la discriminazione di genere, che probabilmente ha sempre avuto, ma si confondeva un problema più complesso per una delle sue conseguenze sociali. Nn si tratta infatti solo di promuovere libere scelte individuali quando queste sono invece ancora fortemente permeate di sessismo inconsapevole, ma di costruire una cultura più rispettosa di ogni persona al di là del genere.

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    1. Hai ragione: dobbiamo costruire un cambiamento culturale, per cui il genere smetta di essere una caratteristica saliente (e, di conseguenza, discriminante). Al contempo, non dobbiamo ignorare il fatto che non siamo ancora in una situazione dove la discriminazione ha smesso di esistere, perciò qualsiasi intervento sociale, culturale, economico, educativo sarà inefficace se non parte dal riconoscimento della discriminazione e delle sue cause.
      Occorre ribadire che non tutte le scelte sono giuste, buone – e peraltro nemmeno completamente libere – ma evitare che questo ragionamento si traduca in un semplice stigmatizzare, accusare, sminuire chi compie queste scelte (e magari non ha gli strumenti per compierne altre). Focalizzarsi sulle strutture, sul “sistema”, secondo me, è il modo per tenere insieme il rispetto delle scelte (incluse quelle “sbagliate”, che riflettono e amplificano il sessismo che tutti respiriamo) e al contempo non appiattirsi sull’esistente.

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